Bice, rappresentante donne Palestinesi in Italia:
“Le donne palestinesi hanno un ruolo importante nella lotta contro la politica espansiva e le occupazioni di Israele, poiché presidiano e proteggono il “focolare” e quindi la loro terra. Si tratta di un ruolo passivo, ma la negazione dei diritti di un popolo fa della conservazione della tradizione una delle forme più efficaci di coesione sociale e dà forza alla resistenza contro l’oppressore. La cura dei bambini è affidata a loro, ma i maschi quando crescono fanno scelte autonome, che possono essere condivise, ma in cui le donne non hanno alcuna possibilità d’intervento. Infatti la società palestinese è, come tutte le società, di tradizione patriarcale e questi anni di lotta non hanno portato ad alcuna forma, se pur minima di emancipazione della donna, anzi hanno accentuato il loro ruolo subalterno, anche per la presenza sempre più invasiva del fondamentalismo islamico e il controllo di Hamas nella striscia di Gaza. Ne è un esempio la sempre maggior diffusione dell’uso del velo rispetto al passato, soprattutto a Gaza.”
Parisa. giovane iraniana:
“Le donne iraniane, anzi le giovani e i giovani iraniani non fermeranno la loro protesta , anche se in questo momento essa sembra attenuarsi, in realtà assume altre forme. Non si fermerà perché la generazione di oggi è consapevole, attraverso i i media e i social come vivono i giovani altri Paesi, liberi di scegliere come vestirsi, cosa leggere, quale musica ascoltare, quali luoghi frequentare, liberi di incontrarsi, di studiare, di ballare, cantare, lavorare insieme femmine e maschi. Non vogliono più vivere in un regime dittatoriale e teocratico, dove è reato far intravvedere una ciocca di capelli che sfugge dal velo e per questo venire punite con la morte; dove è reato manifestare pacificamente il dissenso e per questo essere imprigionati, torturati, violati, stuprati in nome della “volontà di dio”. E in questi mesi, molti giovani uomini sono stati accanto alle donne a rivendicare i loro diritti e hanno pagato con il carcere, le torture, le violenze sessuali, con mesi di isolamento senza che le famiglie sapessero nulla di loro, con la pena di morte alcuni di coloro che sono sfuggiti alle esecuzioni, dopo queste terribili esperienze, si sono suicidati. Anche il fratello di Parisa è stato arrestato e per settimane la famiglia ha temuto per la sua vita; per fortuna è stato poi liberato, ma i giorni in completo isolamento sono stati terribili: ha raccontato che cercava spasmodicamente una presenza di vita, la più insignificante – un moscerino, una zanzara – a cui rivolgere la parola per non impazzire.
Le famiglie temono per i loro figli, ma sono solidali con loro. Ricordano ancora l’epoca dello Scià durante la quale c’era la libertà di indossare il velo oppure no, la libertà di muoversi, di leggere, di ascoltare ogni tipo di musica, le scuole miste. Ricordano i movimenti di opposizione e di resistenza che volevano rovesciare il regime monarchico per fondare una Repubblica democratica. Ricordano che con la Rivoluzione del 1979 ha prevalso l’autorità religiosa degli Ayatollah e con la loro vittoria tutti gli altri oppositori sono stati perseguitati, incarcerati, condannati a morte. Ma la generazione che ha vissuto questo passaggio non accetta più tutto questo e così i loro figli e i nipoti. La durezza della repressione ha prodotto, come nella dittatura staliniana, autodichiarazioni pubbliche di colpevolezza e di pentimento (inizialmente i “pentiti” presentavano evidenti segni di maltrattamenti che ne dimostravano la coercizione) e in queste ultime settimane le proteste sono meno clamorose, ma continuano e non solo nelle grandi città. Noi siamo convinte/i che il regime teocratico finirà e vinceranno i giovani.”
Maria, giovane ucraina in fuga dalla guerra:
“I milioni di Ucraini in fuga dalla guerra, per il 99% donne e bambini, desiderano ritornare nel loro Paese e lo faranno non appena sarà terminato il conflitto. Gli uomini mobilitati non hanno potuto andarsene e quindi c’è il desiderio di ricongiungimento. Molti, soprattutto anziani, hanno preferito rimanere nelle loro case, rischiare anche la morte sotto i bombardamenti. I suoi stessi genitori non hanno voluto andarsene. È necessario trovare le vie diplomatiche per far finire questo conflitto.
Yobana, donna peruviana (da 19 anni in Italia., il suo legame con il Paese d’origine è sempre forte)
“Le politiche neoliberiste sono state la peggiore sciagura, causa delle enormi disuguaglianze che affliggono il Perù, così ricco di materie prime. Il peggio è iniziato con Fuijmori, un giapponese che nulla aveva a che fare con il Perù, eletto presidente nel 1990 (per 10 anni). Durante i suoi mandati, complici gli Stati Uniti, sono stati stipulati contratti con le multinazionali per lo sfruttamento delle ricchezze del Perù con la conseguenza di affamare il popolo. Oggi il colpo di stato, contro un Presidente votato democraticamente , ha provocato manifestazioni soprattutto nella regione di Puno più ricca di materie prime (oro, litio …) , ma con la popolazione più povera. che ha sostenuto Castillo. Nella repressione sono morti anche donne e bambini. Questa tragedia non ha avuto molto solidarietà internazionale, solo dopo settimane dall’inizio, la visita di alcuni deputati argentini ha prodotto la conoscenza e la solidarietà di alcuni Paesi sudamericani. “
Alla domanda “E se la guerra fosse donna?”
- Le donne sono abituate da sempre nella loro quotidianità ad affrontare conflitti, contrasti, punti di vista diversi …e quindi, forse, se avessero il potere, troverebbero strade diverse da quelle che richiedono le armi e quindi la guerra.
- La prospettiva potrebbe essere quella di risolvere le controversie in modo pacifico, ma per ora le donne al potere esercitano il loro ruolo secondo i canoni del maschilismo (es. Meloni o anche Von der Leyen … )
- Dipende dal percorso e dalle esperienze che le donne hanno fatto e condiviso con altre donne per i diritti e la dignità di tutte, solo così si può arrivare a una prospettiva e a una visione della vita profondamente nuova dove la guerra non abbia più spazio e ragione di essere
Irma De Mattei, coordinatrice della consulta femminile di ANPI